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Leggere ci aiuta a vivere meglio

 

“Ho letto moltissimi libri, ma ho dimenticato la maggior parte di essi. Ma allora qual è lo scopo della lettura?”

Fu questa la domanda che un allievo una volta fece al suo Maestro.

Il Maestro in quel momento non rispose. Dopo qualche giorno, però, mentre lui e il giovane allievo se ne stavano seduti vicino ad un fiume, egli disse di avere sete e chiese al ragazzo di prendergli dell’acqua usando un vecchio setaccio tutto sporco che era lì in terra.

L’allievo trasalì, poiché sapeva che era una richiesta senza alcuna logica.

Tuttavia, non poteva contraddire il proprio Maestro e, preso il setaccio, iniziò a compiere questo assurdo compito. Ogni volta che immergeva il setaccio nel fiume per tirarne su dell’acqua da portare al suo Maestro, non riusciva a fare nemmeno un passo verso di lui che già nel setaccio non ne rimaneva neanche una goccia.

[….]  Stremato, si sedette accanto al Maestro e disse: “Non riesco a prendere l’acqua con quel setaccio. Perdonatemi Maestro, è impossibile e io ho fallito nel mio compito”

“No – rispose il vecchio sorridendo – tu non hai fallito. Guarda il setaccio, adesso è come nuovo. L’acqua, filtrando dai suoi buchi lo ha ripulito”

“Quando leggi dei libri – continuò il vecchio Maestro – tu sei come il setaccio ed essi sono come l’acqua del fiume”

“Non importa se non riesci a trattenere nella tua memoria tutta l’acqua che essi fanno scorrere in te, poiché i libri comunque, con le loro idee, le emozioni, i sentimenti, la conoscenza, la verità che vi troverai tra le pagine, puliranno la tua mente e il tuo spirito, e ti renderanno una persona migliore e rinnovata. Questo è lo scopo della lettura”.

Da: “Le storie di Maui, 111 gradini verso la felicità” di Rodolfo Carone, Giovanna Garbuio, Francesca Tuzzi

Ed. L’età dell’Acquario.

PROPOSTE DI LETTURA DEL GRUPPO DI AUSER CULTURA

2023

Prigioniero del Papa Re

di David Kertzer – Rizzoli Editore

 

“Rapito” di Marco Bellocchio, film sul caso Mortara, mi ha spinto ad approfondire l’argomento.

Il libro che mi ha aiutato a capire meglio la vicenda ed il contesto nel quale è accaduta è stato “Prigioniero del Papa Re” di David Kertzer, storico statunitense che già si è occupato di Bologna in un altro bellissimo saggio “La sfida di Amalia. La lotta per la giustizia di una donna nella Bologna dell’Ottocento” che descrive la vita delle contadine che per denaro prendono a balia i bambini dell’Ospedale degli esposti.

Siamo a Bologna nel 1858 quando la polizia pontificia bussa alla porta del commerciante ebreo Momolo Mortara e si fa consegnare il figlio Edgardo. L’inquisitore Pier Gaetano Feletti è venuto a conoscenza che una domestica lo ha segretamente battezzato durante una malattia che pareva dovesse essergli fatale.

Nonostante la disperazione della famiglia Edgardo viene portato a Roma nella Casa dei Catecumeni, dove troverà altri bambini ebrei come lui e diventerà il pupillo di Papa Pio IX.

Nonostante all’epoca le opinioni pubbliche di vari paesi europei e persino negli Stati Uniti si fossero mobilitate, la vicenda è stata a lungo tenuta sotto silenzio, probabilmente perché il caso aveva avuto pesanti ripercussioni politiche e creato un danno all’immagine della Chiesa Cattolica.

Non solo quindi la storia di Edgardo Mortara e della sua famiglia ma un ritratto di Bologna nel contesto dello Stato pontificio e del suo successivo crollo.

Molto ben descritto e documentato è il processo penale al padre domenicano Feletti, l’inquisitore che aveva disposto il rapimento del fanciullo, uno dei primi atti del nuovo governo della città nel 1860. L’arresto fu disposto dal nuovo Dittatore dell’Emilia, Luigi Carlo Farini che dopo la caduta del governo del Papa aveva abolito l’inquisizione.

Un libro di storia, un saggio sul caso, sulla condizione degli ebrei in Italia e sul risorgimento italiano che mi ha fatto anche conoscere meglio personaggi che per Bologna sono stati importanti, ma che spesso sono solo nomi di strade che percorriamo passeggiando per la città.

Il coraggio del futuro

di Alberto Zanobini - “La nave di Teseo” in collaborazione con la Fondazione Meyer

 

l libro è di Alberto Zanobini, dal 2015 Direttore Generale dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. La prefazione è di Marco Damilano.

È un libro molto coinvolgente, come lo può essere solo il racconto di una persona molto competente e appassionata che spiega ciò in cui crede e che ha praticato non con aride teorie, ma attraverso l’esperienza della sua vita (come tante contrassegnata anche dal dolore) e di quella delle persone che hanno fondato il Meyer nell’800. La fondazione del Meyer nel 1883 rappresenta il passato, fondamentale per capire il presente; Zanobini appena arriva “saccheggia” l’archivio fotografico per mostrare nel corridoio dell’ospedale la particolare storia del Meyer come primo ospedale pediatrico in Italia. Le persone che l’hanno fatto crescere fino al suo arrivo rappresentano il presente. Infine le sfide e le innovazioni che si è prefisso di attuare con coraggio costituiscono il futuro.

Il servizio sanitario nazionale – dice Zanobini – non può essere un contenitore di prestazioni, ma una piattaforma democratica per lo sviluppo della persona, in particolare la più indifesa”. Nel caso di Zanobini, i più indifesi sono i bambini, malati temporanei o colpiti da malattie gravi fino ai casi devastanti in cui la medicina deve arrendersi davanti alla morte. Per questo si batte per attivare un hospice pediatrico e ci riesce. Inoltre Zanobini si batte per creare un inedito team che lavorerà “insieme” con il concetto del “noi” (We People è la rivista dedicata ai pediatri italiani da lui fondata). Allo stesso modo avvicina la stanza per le mamme che devono tirarsi il latte alla Terapia Intensiva Neonatale e la chiama “Latte di Mamma”. In modo continuo visita ospedali pediatrici in altri Paesi e collabora con loro, portando le sue esperienze e traendo ispirazione dalle buone pratiche straniere. Organizza un convegno su Sergio Levi, un giovane pediatra che operava nel 1938 al Meyer e che fu allontanato perché ebreo. Progetta e realizza un’assistenza pediatrica per i bambini migranti che arrivano a Lampedusa e fa lo stesso in Polonia per i bambini ucraini scappati dalla guerra l’anno scorso.

Chi legge avrà capito che siamo di fronte ad una eccellenza della sanità italiana (il Meyer) e ad un direttore davvero speciale, innamorato della sua missione. Che non a caso cita più volte lo spirito umanitario e innovativo di Adriano Olivetti: l’utopia concreta, la leadership collettiva, nonostante le difficoltà e perfino le ingiustizie.

Tante altre sono le esperienze che Zanobini racconta, ma ci fermiamo qui per non togliere il gusto di scoprirle leggendo il libro.

 

IL CORAGGIO DEL FUTURO”: UN LIBRO SULLA CURA E SUL SISTEMA SANITARIO COME PIATTAFORMA DEMOCRATICA PER LO SVILUPPO DELLA PERSONA

 

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”  (art. 32 della Costituzione, scritto all’ingresso dell’ospedale Meyer)

Le piste di carta

di Mauro Maggiorani - Il Margine

 

In giugno ho partecipato al Festival dei generi letterari che il Centro di lettura Isola del Tesoro di Trebbo di Reno organizza tutti gli anni.

Fra i tanti libri presentati mi ha incuriosito Le piste di carta di Mauro Maggiorani, storico, autore di soggetti teatrali e direttore, in passato, dell’istituto storico della Resistenza, che con il suo personaggio, Miro Casadei, settantenne ispettore archivistico onorario, ci fa entrare in un mondo fatto di antichi carteggi e commerci clandestini di opere d’arte.

Siamo a Borghetto di Romagna, paese immaginario della Valmarecchia tra Ravenna e Rimini, e Miro, contattato per sistemare le carte di una nota famiglia del luogo che nel passato aveva collaborato con fascisti e tedeschi e quindi mal vista da molti, scoprirà una storia di vendette e sparizioni risalenti al periodo 1943-1945.

Ma protagonista è anche la Romagna, con le sue atmosfere e le sue colline che Casadei percorre sulla sua vecchia Lada Niva, in compagnia di un amico serbo, muto, una sorta di rigattiere con il quale recupererà, in un edificio in stato di abbandono, documenti appartenuti alla famiglia Torlonia e al loro fattore Ruggero Pascoli.

Il personaggio di Miro era nato per una fiction televisiva e per interpretarlo era stato scelto Ivano Marescotti, che aveva anche collaborato con l’autore.

Purtroppo, non è stato possibile realizzarla, ma leggendo il libro non si può non immaginare il volto dell’attore, che sarebbe stato perfetto per dare voce a questo romagnolo maturo, con una difficile situazione famigliare alle spalle, intelligente e malinconico.

Un giallo dai molti spunti storici che si legge con piacere.

La giornata d'uno scrutatore

di Italo Calvino - Mondadori

 

Riscopriamo un classico per l’estate

La giornata di uno scrutatore, romanzo breve di Italo Calvino, di cui si ricorda quest’anno il centenario dalla nascita.

Per completare questo piccolo capolavoro che non è fra i suoi libri più noti, Calvino ha impiegato dieci anni, dal 1953 al 1963. Racconta la giornata che Amerigo Ormea, intellettuale comunista e alter ego dell'autore, trascorre come scrutatore durante le elezioni del 1953 alla Piccola Casa della Divina Provvidenza "Cottolengo" di Torino, un istituto religioso dove sono ricoverati migliaia di minorati fisici e mentali.

Come scrutatore deve impedire che persone incapaci di intendere e di volere siano indotte dai religiosi a votare per la DC. All’inizio inflessibile, pretende di controllare il certificato medico di ogni ricoverato per essere certo della sua capacità di esprimere una volontà, ma via via la sua inflessibilità lascia il posto ad altre considerazioni mettendo in crisi le sue certezze. In questo luogo di dolore, la ragione, il rigore inflessibile si scontrano si scontrano con i limiti del corpo e della biologia.

Per questo si oppone con sempre minore convinzione al voto degli ammalati più gravi: gli sembra di essere chiamato non più a sorvegliare sugli abusi elettorali ma a stabilire il confine tra l’umano e il non umano. Fra i vari ricoverati, fissa la sua attenzione su un giovanotto deforme e attonito e un vecchio padre con il cappello da contadino, venuto per la visita domenicale, che schiaccia delle mandorle e imbocca muto il figlio: i due sono “reciprocamente necessari”, l’umano, pensa Amerigo, “arriva fin dove arriva l’amore”.

Ecco allora che il punto di vista critico del protagonista, intellettuale di sinistra e quello di un onorevole democristiano, giunto al seggio a caccia di voti, sono posti a confronto con quello di esseri umani i cui sguardi esprimono solo bisogni elementari.

Scrive Calvino: “Lo scrutatore arriva alla fine della sua giornata in qualche modo diverso da com’era al mattino; e anch’io, per riuscire a scrivere questo racconto, ho dovuto in qualche modo cambiare.”

E anche chi legge viene indotto a riflettere e a prendere coscienza di come forse il motore del progresso non sia la ragione ma la forza misteriosa degli affetti.

L’Albergo dell’alpinista morto

di Arkadij e Boris Strugackij - Carbonio Editore 2022

 

L’albergo dell’alpinista morto si presenta al lettore come un giallo classico: un albergo in località montana, paesaggio nordico con neve, un gruppo di villeggianti, fra cui un ispettore di polizia in vacanza e, forse, la presenza di un fantasma; nulla di diverso da un Poirot di Agatha Christie.

Come in un giallo che si rispetti, puntuale arriva la scoperta di un cadavere e contemporaneamente una valanga isola l’albergo. A questo punto al protagonista, ispettore Glebski, non resta che indagare in attesa dei soccorsi.

Verso la fine però il romanzo, scritto del 1969 e inedito in Italia fino al 2022, prende una piega inaspettata e finisce per sconfinare nella fantascienza con un finale surreale che ricorda un po’ i vecchi film dell’epoca con gli alieni che tentano di conquistare la terra.

Infatti, dopo la godibile e scorrevole prima parte, il giallo diventa altro. L’isolamento porta tutti i personaggi ad aprirsi e a mostrare il loro vero volto perché nessuno è quello che appare realmente. Glebski sarà costretto ad una scelta di cui forse si pentirà e anche i lettori arriveranno a chiedersi: quali comportamenti metteremmo in atto di fronte a qualcosa che non è contemplato nel nostro quotidiano?

L’intenzione degli autori, Arkadij e Boris Strugackij, considerati tra i più importanti scrittori di racconti di fantascienza, era di proporre un esperimento letterario, una variante del genere giallo.

Nonostante il tema “leggero” in Unione Sovietica la pubblicazione di questo romanzo fu complicata e furono operati diversi rimaneggiamenti dell’opera per riuscirvi; all’epoca spesso la fantascienza era un modo per descrivere in maniera allegorica alcune situazioni reali di cui non era possibile parlare apertamente. Fu anche eliminato il sottotitolo Ancora un requiem per il romanzo giallo.

Stivali a Montesole

di Giulia Casarini - Falzea Editori, 2008

 

 

Stivali a Montesole è un libro per ragazzi  che tuttavia, per il contenuto e la scrittura, può essere letto con interesse anche da adulti. Anzi, lo consigliamo come lettura da condividere fra generazioni: un libro che nonni, genitori, possono leggere insieme ai bambini ( dai 9-10 anni in poi).

Racconta dell’amicizia tra due animali molto diversi, uno selvatico (una lupa) e l’altro domestico (un asino), che attraverso un dialogo intenso e struggente parlano di Resistenza, dei partigiani, delle staffette e raccontano dal loro punto di vista l’atrocità e assurdità della guerra e i fatti che portarono all’eccidio di Montesole.

“Lupa era Inquieta. I discorsi della giornata, nonostante tutto, non le sembravano chiari. Resistenza. Una parola strana, innaturale. Ripensava ai suoi simili, alla vita del  branco, agli altri animali. Nessuno nel bosco aveva bisogno di resistere; le regole della convivenza erano chiare per tutti, anche nelle liti riguardo al territorio e al comando: non sarebbe mai accaduto niente di simile!

Lupa fa tante domande perché non riesce a capire: “Asino, ma quand’è che i partigiani hanno deciso di combattere? E’ stato nel momento in cui è scoppiata la guerra? “ . “No…lo hanno deciso quando hanno capito che non avevano altra soluzione per salvarsi  e sopravvivere. Prima si nascondevano e basta. Poi qualcuno di loro ha deciso che bisognava fare qualcosa. Si sono messi d’accordo… e così è capitato un po’ dappertutto….Ma non è stata una scelta facile….”

In questo libro ci sono tanti passaggi chiari e semplici per capire il ruolo delle staffette, la vita della gente, la crudeltà dei nazisti, anche nei piccoli gesti…..vogliamo però riportare solo un passo del dialogo fra la Lupa e  l’Asino, una domanda a cui  anche oggi, a noi uomini  è impossibile rispondere. “Perché?” gridò Lupa “La regola, la regola, tu avevi detto che anche loro rispettavano quella regola! Perché uccidono tutti? Perché anche i bambini? Asino chiuse gli occhi e una grossa lacrima gli scivolò lungo il muso “Io non lo so perché, Lupa. Questa volta non so rispondere….”

Un’unica speranza può rimanere: che a raccontare, a fare memoria, gli orrori della guerra possano un giorno aver fine.

Veloce si presta. L'esperienza vissuta da un volontario fino alla nascita del 118

di Stefano Badiali - 2023

 

 

VELOCE SI PRESTA …. L’ESPERIENZA VISSUTA DA UN GIOVANE VOLONTARIO, POI MEDICO DI RIANIMAZIONE, PROTAGONISTA DELLA NASCITA DEL 118

Un libro unico e davvero prezioso quello scritto da Stefano Badiali, “Veloce si presta”.

Nel libro viene raccontata la sua esperienza di studente di medicina, volontario della “Croce Italia”, associazione incubatrice del sistema di “Bologna Soccorso”, poi 118.

Stefano Badiali ricostruisce i fatti, le atmosfere e le situazioni che, partendo da Bologna, hanno poi portato alla nascita del 118 a livello nazionale. L’autore non racconta solo la sua esperienza, ma dà voce a tanti amici e collaboratori, aggiungendo documenti e immagini in bianco e nero che ci danno l’idea di quanto siano cambiati il servizio di soccorso e le stesse ambulanze.

È un racconto esperienziale, una dimostrazione di ciò che i volontari, i cittadini, non contro ma insieme alle istituzioni, hanno realizzato grazie alla loro “febbre del fare”.

Oggi un servizio di emergenza, per il salvataggio delle persone, come il 118, lo diamo per scontato. Ma non era assolutamente così. Fu possibile arrivarci perché si incontrarono l’agente propulsore del volontariato, vera e propria avanguardia civica, e l’intelligenza, la disponibilità delle istituzioni, con una visione pubblica che correttamente interpretava il principio di sussidiarietà.

Il racconto assume alla fine anche il carattere drammatico legato alla partecipazione dell’autore agli interventi di soccorso alla Stazione di Bologna durante la strage del 2 agosto 1980. E qui si ferma, nella consapevolezza che l’esperienza innovatrice fatta prima e il discrimine di quella orrenda strage (ognuno di noi che ha vissuto in quegli anni divide i suoi ricordi fra prima e dopo il 2 agosto) hanno convinto tutti che il servizio di emergenza come lo conosciamo oggi doveva essere realizzato e fatto proprio dalle strutture sanitarie, sempre con il concorso dei volontari.

Stefano Badiali, insieme a Marco Vigna e ad altri colleghi, è stato protagonista di questo cammino, così importante per il servizio sanitario nazionale pubblico.

Last but not least: l’autore, per non smentire la sua passione professionale e umanitaria, ora in pensione, è un volontario di Auser Bologna e sta tenendo gratuitamente corsi di Primo Soccorso presso la sede della Croce Rossa Italiana per i volontari dell’associazione che fanno trasporto sociale e presidio di musei e biblioteche.

Insomma, sembra paradossale, ma così non è e lo sanno bene i volontari: fare qualcosa di utile agli altri fa molto bene anche a sé stessi. Infine due parole anche su Stefano scrittore: la sua è una scrittura veloce, che si presta ad una lettura interessante ed anche emozionante, che può essere molto utile anche alle giovani generazioni.

Schiena di vetro

di Raul Rossetti - Baldini&Castoldi Editore 1995

 

Vincitore del premio Pieve di Santo Stefano 1989, “Schiena di vetro” è sì una testimonianza sull'emigrazione e sul lavoro in miniera, ma è anche una narrazione allegra e drammatica, dove si susseguono figure umane, amici, avversari e soprattutto ragazze; ragazze trionfalmente conquistate e rapidamente fuggite, amate e piante e infine lasciate sia perché l'esistenza è impietosa sia perché l'amore per la libertà e l'avventura può essere più forte di ogni legame.

Ingenuo e sprovveduto, ma dotato d’astuzia; rissoso e prepotente, ma di cuor tenero; amante delle donne e timoroso del matrimonio; amante della vita, ma sempre pronto ad affrontare il rischio di perderla: così è il ragazzo che vediamo, sui vent’anni, salutare frettolosamente la madre e partire per il Belgio e la miniera. Lascia alle proprie spalle un’infanzia di piccoli furti e di cinghiate paterne, una famiglia disunita e priva di mezzi e un’Italia immersa nella confusione del primo dopoguerra. Il lavoro in miniera si rivela amaro: il ragazzo impara a conoscere la polvere del carbone, che secca la gola e s’appiccica sulla pelle, la sete, e soprattutto la paura delle frane e delle esplosioni, e del grisou che può far morire appisolati in un soave odore di vaniglia. Ma che gioia, dopo tante ore passate nei pozzi, rivedere il giorno! Correre ad ubriacarsi nelle birrerie con gli amici, sfoggiare abiti nuovi nelle promenades, conoscere delle ragazze.

Scritto in uno stile ingenuo, maldestro (forse ispirato ad Hemingway?) ma immediato e fresco, senza artifici e senza ipocrisie, il libro ha la seduzione e l'acerbità dei racconti vivi e reali. All'ultimo, il ragazzo, diventato adulto, sale sul treno che lo riconduce in patria. Ne è felice, ma "anche il cielo di Liegi era bello".

Il libro è uscito in due edizioni: una del 1989 per Einaudi ed una del 1995 per Baldini&Castoldi.

Lo si trova essenzialmente nelle biblioteche pubbliche o sul mercato dell’usato.

La Contessa

di Virginia Verasis di Castiglione - Adelphi Edizioni 2021

La prima volta che ho sentito parlare della Contessa di Castiglione è stato in uno sceneggiato televisivo degli anni 60 nella tv, allora in bianco e nero. Qualche anno dopo ho letto di lei nel primo volume de “Le donne nella storia d’Italia” edito dal Calendario del Popolo che era nella libreria di casa e questa bellezza risorgimentale mi aveva colpito.

Quando nel 2021 è uscito il libro di Benedetta Craveri, studiosa, francesista, mi sono subito incuriosita, ma il personaggio che è emerso non era certo quello romantico che mi ero immaginata.

La Contessa è il racconto-saggio biografico di Virginia Verasis contessa di Castiglione passata alla storia grazie al cugino Camillo Cavour che nel 1859 le assegnò il compito di stabilire un canale di comunicazione tra l’imperatore dei Francesi, Napoleone III, e il governo sabaudo, servendosi della sua avvenenza.

Bella e insofferente alle convenzioni dominanti nella società aristocratica dell’800, non ebbe problemi a concedersi, essendosi sempre considerata una donna libera e, come la definisce l’autrice “una seduttrice seriale”.

Probabilmente anaffettiva, poco si curò del figlio, che morirà giovanissimo di vaiolo, e ancor meno del marito dal quale presto si separò con un vero e proprio atto legale, cosa non comune per il periodo.

Era una donna intelligente moderna ed audace, giocava in Borsa e, con estrema spregiudicatezza, coltivava relazioni con uomini influenti.

Il libro, interessante anche dal punto di vista storico, è ricco di documenti, lettere e fotografie che da narcisista qual era già allora si era fatta fare in numerose pose.

Io non credo nell’amore, è una malattia che passa come è venuta...prendetemi oggi, non contate di avermi domani”.

Questa frase fa di Virginia la più “maschile” delle donne della sua epoca e leggere la sua biografia disturba, sconcerta e scandalizza ancora oggi.

2022

Canto di Natale

di Charles Dickens, illustrato da Roberto Innocenti – Ed. La Margherita

Ebenizer Scrooge è il protagonista di “Canto di Natale”, una bellissima favola per adulti e ragazzi. È un banchiere londinese, un uomo con il cuore di pietra, a cui importa soltanto accumulare denaro: non gli interessano le festività, i divertimenti, il tempo passato in famiglia.
Non si è mai sposato, non ha avuto figli e l’unico parente che gli è rimasto è un nipote, che prova a dimostrargli affetto, ma che lui continua ad evitare e a rifiutare gli inviti per passare insieme il giorno di Natale. Ha un unico commesso che lavora per lui, sottopagato, sfruttato e costretto a morire di freddo mentre lavora, perché Scrooge non tollera che sprechi carbone per riscaldarsi.

Durate la notte della vigilia di Natale però qualcosa cambia in lui: il fantasma del suo vecchio socio, morto sette anni prima, va a fargli visita e lo mette in guardia su quale sarà il suo futuro se non smetterà di essere così egoista e avaro, e gli prospetta la visita di tre spiriti: quello del Natale passato, quello del Natale presente e quello del Natale futuro. Lo spirito del Natale passato gli mostra un giovane se stesso pieno di sogni e speranze, un ragazzo timido e dal cuore dolce che ben presto però è stato sostituito da un uomo senza scrupoli; lo spirito del Natale presente gli mostra la famiglia del suo commesso: i tanti figli, il poco cibo e il bimbo più piccolo, fragile e malato anche se sempre sorridente e speranzoso.

È a questo punto che il cuore di Scrooge ricomincia a battere dopo molto, molto tempo……

Lo spirito del Natale futuro, infine, è il più spaventoso perchè gli mostra come sarà la sua morte: nessuno a dispiacersi per la sua scomparsa ma solo avvoltoi pronti ad accaparrarsi i suoi beni.  La nottata di Scrooge è molto inquieta, ma riesce a  scuoterlo fin nel profondo e fargli capire il valore dell’amore, della generosità, della condivisione e dell’armonia.

Dickens ha scritto “Canto di Natale” nel 1843; tuttavia il libro contiene un messaggio molto attuale e è rivolto a tutte le età; in particolare vale la pena leggerlo e consigliarlo ai ragazzi.

Sono state pubblicate diverse edizioni di questo libro, noi qui proponiamo la pubblicazione illustrata da Roberto Innocenti che riesce ad incantare i lettori con le sue splendide tavole: li prende per mano e li accompagna nelle vie fredde e cupe di Londra, che sembrano una proiezione dell’animo di Scrooge.

Timira. Romanzo meticcio

di Wu Ming 2, Antar Mohamed, Einaudi Stile libero BIG

“Siamo tutti profughi, senza fissa dimora nell’intrico del mondo. Respinti alla frontiera da un esercito di parole, cerchiamo una storia dove avere rifugio”.

Questa frase in quarta copertina offre lo spunto per leggere con particolare attenzione questo libro, che si autodefinisce “romanzo meticcio”. E, in effetti, ci troviamo tra le mani un romanzo vero e proprio, con una sua trama, i suoi personaggi che sono anche i suoi scrittori; scrittori che si offrono sotto diverse vesti: un cantastorie bolognese con un nome cinese, un plurilaureato esule italo-somalo mediatore culturale e un’altrettanto italo-somala attrice, modella, traduttrice, ottantacinquenne. A turno saranno le voci narranti, gli interlocutori dei protagonisti o coloro che ne racconteranno le azioni.

In una scena del film “Riso amaro”, accanto a Silvana Mangano compare una strana mondina nera. Si chiama Isabella Marincola, una donna appassionata e libera, nata a Mogadiscio figlia di un sottufficiale del Regio Esercito Italiano (che ne riconobbe la paternità e le diede il suo cognome) e sorella del combattente della Resistenza, Giorgio Marincola, caduto negli ultimi giorni della guerra di liberazione dal nazifascismo.

Isabella, che quando tornerà a Mogadiscio si farà chiamare Timira, attraverserà tutto il Novecento in una continua ricerca delle proprie radici, degli affetti spesso ostacolati dagli eventi storici, dalle ipocrisie, dai preconcetti, dalle mentalità ristrette. Timira è una figura multiforme, leggendaria, uno scrigno di storie intrecciate tra Europa e Africa. Timira è anche il nome che la protagonista (che è anche la madre dell’autore dal nome non cinese) dà alla bambola di pezza ricevuta quando aveva 2 anni da una suora, durante la navigazione verso l’Italia per ricongiungersi con il fratello, il padre (e la di lui moglie ufficiale).

Per quanto possano apparire incredibili, le storie narrate sono autentiche e descrivono le peripezie di uno spirito veramente libero, raccontano le difficoltà legate alla sopravvivenza in una società che fatica a trovare un posto per esso, soprattutto se tale spirito è quello di una donna, colta e istruita, sì, ma donna e per di più dalla pelle scura.

Così attraverseremo i quartieri della Roma degli anni’ 40 e ’60, di Mogadiscio degli anni ’30 e ‘70 e infine le strade di Bologna, diventata la città di Timira, sempre in lotta con le mille difficoltà che la burocrazia getterà tra i piedi di un profugo con la cittadinanza italiana. E quando, passeggiando per Bologna, ci troveremo senza accorgercene nel giardino Parker Lennon e, alzando il capo, noteremo che il sentiero che stiamo percorrendo è intitolato a Giorgio e Isabella Marincola, potremo sorridere dentro di noi dicendo: “Io li conosco.”

Sono corso verso il Nilo

di Ala Al Aswani, Feltrinelli Editore

Cairo 25 gennaio 2011.

25.000 egiziani si ritrovano in Piazza Tahrir per protestare contro il Governo di Mubarak, sull’onda della cosiddetta primavera araba.

Si intrecciano le storie dei protagonisti, studenti e cittadini comuni, che partecipano a questa rivolta popolare che infiamma gli animi e illude che il cambiamento possa essere a portata di mano quando vengono annunciate le dimissioni di Mubarak.

Si capirà però molto presto che a lui si sono sostituiti i militari e alcuni capi religiosi che usando i media, con la collaborazione di altri personaggi legati al vecchio regime e interessati a mantenere il potere, manipoleranno le informazioni facendo finire in un bagno di sangue tutte le speranze.

Al- Aswani, medico, membro del movimento per la democrazia egiziana Kifaya che ha partecipato attivamente alle manifestazioni di quei giorni, con una scrittura che si fa impegno civile, punta il dito sia contro i corrotti al governo, sia contro l’indifferenza della popolazione che ascolta acriticamente le false notizie per tirare a campare senza problemi.

Dei protagonisti qualcuno morirà, qualcuno come Asmà, violentata in carcere dopo l’arresto come molte delle sue compagne, se ne andrà per sempre perché, come scrive al fidanzato rimasto in Egitto per continuare a lottare “non posso più accettare di vivere in un paese che mi tratta come una nullità”.

Un romanzo consigliato sia per l’attualità del tema trattato (si pensi a quanto accaduto a Giulio Regeni, a quanto accade ancora a Patrick Zaki e ad altri di cui non conosciamo il nome) sia per chi vorrà approfondire questo fenomeno storico.

Jack deve morire

di Joyce Carol Oates, Il Saggiatore Editore

Un romanzo in stile gotico scritto da una fra le più grandi scrittrici americane. Nata  nel 1938,  è anche poetessa e drammaturga . Autrice e intellettuale  eclettica, tra le più prolifiche della letteratura americana, ha pubblicato il primo libro nel 1963. Da allora, ha frequentato ogni genere letterario in prosa e in versi.

Protagonista di “Jack deve morire” è Andrew J. Rush, uno scrittore di thriller e romanzi del mistero, mai eccessivi nel gusto del macabro: una persona irreprensibile, ottimo marito e padre di famiglia, nonché amato benefattore nella cittadina del New Jersey in cui vive. I suoi libri vendono milioni di copie, sono tradotti in più di trenta lingue, e la critica non esita a definirlo «uno Stephen King in versione gentiluomo».

Parallelamente a questa scrittura, Andrew inizia a pubblicare sotto  lo pseudonimo “Jach of Spades”,  romanzi rozzi, sessisti, splatter e orrifici.  In realtà Andrew è un uomo lacerato dagli spettri di un passato oscuro, sepolto negli strati più sotterranei della memoria. Per questo si costruisce un alter ego in cui trasferire questo grumo di sofferenza esprimendolo attraverso storie violente e piene di sangue.

Ne scaturisce un mostro incontrollabile e violento: all’inizio Jack sembra ubbidire fedelmente al padrone; la sua identità indecifrabile e sfuggente gli permette di muoversi tra le pagine come un fantasma;  ma presto Jack inizia a evadere i confini della letteratura, a insinuarsi nella vita privata del suo creatore, divenendone il suggeritore sanguinario e infine l’antagonista da eliminare, che intrappola Rush in una ragnatela  di delitti e crimini dalla quale solo uno dei due potrà uscire vivo.

Un romanzo che si legge tutto d’un fiato: una scrittura visiva, onirica che incolla il lettore fino all’ultima pagina.

 

“Jack of Spades possiede l’uomo Andrew J. Rush. Jack of Spades non abbandona mai Rush. Jack of Spades è nello spirito di Rush, e fa in modo di bisbigliargli cose cattive suggerendo con la malizia del demone. E a noi, lettori, Jack of Spades cosa imporrà? O siamo noi Jack of Spades?

Diario del Novecento

di Piergiorgio Bellocchio – a cura di Gianni D’Amo  Saggiatore Editore

È da poco uscito in libreria questo libro, un mese dopo la morte di Piergiorgio Bellocchio.

Piergiorgio Bellocchio, fratello del regista Marco, è stato critico letterario, giornalista e scrittore. Ha fondato le riviste Quaderni piacentini e Diario, oltre ad aver collaborato con numerose testate giornalistiche.

“Diario del Novecento” è un libro prezioso, unico, che raccoglie riflessioni sul cinema, la letteratura, la politica, il giornalismo, da cui esce un ritratto acuto e particolare del XX secolo.

Per chi ama i libri che si possono leggere a spizzichi e bocconi, senza rispettare l’ordine delle pagine, è un’occasione ghiotta: i lampi aforistici si mescolano ai racconti famigliari, le recensioni cinematografiche si alternano ai ritratti affettuosi ma mai indulgenti di maestri, amici o persone umili e le polemiche sul costume italiano, condotte con l’aiuto costante di “Pinocchio” e dei Vangeli, convivono con le molte citazioni senza commento, che rivelano l’indecenza di una certa pubblicità, di un certo titolo giornalistico …

In questo libro sono importantissime le immagini. Bellocchio, che ha il fiuto dello storico e dello psicologo, è infatti uno straordinario interprete di volti.

Un esempio:

“Chi ha cominciato? Da bambini, quando scoppiava una lite con urla, botte e pianti, il genitore o l’insegnante sopraggiungeva e sempre come prima cosa chiedeva: “Chi ha cominciato?”. Circa l’attuale crisi in Medio Oriente, che si trascina da decenni (e circa tutto quanto), la sopracitata sacrosanta domanda gli adulti (quelli che fanno finta di rappresentare l’autorità al di sopra delle parti, il diritto internazionale ecc., cioè noi occidentali) dovrebbero rivolgerla a se stessi: “Chi ha cominciato?”, “Chi ha dato il cattivo esempio?”, “Che cosa abbiamo insegnato?”, “Da chi hanno imparato?”, “Chi ha fornito le armi?” ecc. ecc.

Canto della pianura

di Kent Haruf  – NN Editore

Kent Haruf ambienta il libro nel paese immaginario di Holt in Colorado, una piccola comunità in cui tutti inevitabilmente si conoscono e sono destinati ad incrociare le loro vite.

È un romanzo corale dove si alternano le vicende dei vari personaggi, così ben descritti che al lettore pare di essere uno di loro e di vivere proprio lì, ne riconosce le strade e le fattorie, ne sente gli odori e il cambiamento delle stagioni.

Sono storie semplici, di solitudine, a volte disperate, ma anche molto delicate, in particolare quella in cui si racconta il rapporto tra Victoria, ragazzina sedicenne incinta e cacciata di casa, e i due anziani fratelli allevatori di bestiame, dai quali trova rifugio e che con timidezza la accolgono per poi diventare “zii” affettuosi.

È un romanzo che ti accoglie e che fai fatica a lasciare andare.

Canto della pianura è uno dei libri della “Trilogia della pianura” di Kent Haruf. Gli altri sono Benedizione e Crepuscolo

 

La lettera di Gertrud

di Bjorn Larsson – Iperborea

 

Cosa accade quando uno scienziato, ateo e razionalista, che si occupa di genetica scopre di essere ebreo?

A Martin Brenner, il cinquantenne protagonista, dopo il funerale della madre viene consegnata una lettera nella quale la stessa confessa di non chiamarsi Maria ma Gertrud, di essere ebrea e di aver cambiato identità dopo essere sopravvissuta ai campi di concentramento.

Martin comincia così a spiegarsi gli strani comportamenti della madre: la dispensa sempre piena di troppo cibo, una valigia sempre pronta e la frase ripetuta che non riusciva a comprendere “quelli come noi devono servirsi dell’intelligenza.

In un primo momento pensa che la rivelazione non influenzerà in alcun modo il suo percorso di vita, (perché dovrebbe? lui è sempre lo stesso), ma quando nel suo paese (siamo nel Nord Europa ma non viene mai precisato dove) accadono episodi di antisemitismo, inizia a porsi la domanda: cosa significa essere ebreo? E con approccio scientifico approfondisce storia cultura e religione, rivendicando comunque sempre il suo diritto a decidere da solo chi vuole essere. In fondo la madre, col suo silenzio, gli aveva lasciato l’opportunità di scegliere; tuttavia, questo lo metterà in difficoltà in famiglia mettendo in crisi il rapporto con moglie e figlia e creandogli problemi sul lavoro sia con gli ebrei, anche i meno ortodossi, che condannano il suo atteggiamento sentendosi traditi, che con gli antisemiti che invece non hanno dubbi sulla sua appartenenza.

Il libro, in parte romanzo e in parte saggio, forse a volte è appesantito da qualche lungaggine di troppo, ma fa riflettere la difficile ricerca del personaggio che si domanda: quanto contano i geni che abbiamo ereditato nel definire le convinzioni religiose? Come dice Martin “il fatto di essere nato da genitori ebrei non fa di me un ebreo. Guardatemi e giudicatemi con l’unica vera identità che ho: quella di singola persona”.

Oliva Denaro

di Viola Ardone –  Einaudi editore

Ho deciso di leggere subito questo libro, quando è uscito, per quanto mi era piaciuto “Il treno dei bambini”.

Il linguaggio di Viola Ardone mi era sembrato già in quel libro molto particolare. Infatti lo sentivo adatto alle persone che lo usavano, e per questo era affascinante e interessante allo stesso tempo. La stessa sensazione l’ho provata anche leggendo questo libro. Il linguaggio non è quello dell’autrice, magari colto o asettico, ma quello di una ragazza di quindici anni che prova a vivere una vita ricca nonostante le poche possibilità che ha davanti. Sente il “sangue inquieto”, o è “favorevole al silenzio”… Questo modo di scrivere e di raccontare mi ha conquistata, facendomi entrare nella storia come “compagna di viaggio” di Oliva, e mi ha subito fatta sentire dalla sua parte. Il romanzo, inoltre, è ispirato a una storia vera, e anche questo fatto lo rende ancora più interessante.

Siamo in un piccolo paese della Sicilia, negli anni ’60. Oliva è figlia di due persone, la madre calabrese e il padre siciliano, che vivono molto semplicemente del loro lavoro: il padre si occupa di piante e galline e la madre della casa e di piccoli lavori di cucito. Oliva ha un fratello gemello che ama molto ma vede le profonde differenze nell’educazione di entrambi. Lui può fare molte più cose di lei ed è molto più libero. Inoltre, il fratello è più superficiale e spesso abbandona i lavoretti che gli vengono richiesti. Ad esempio, raccogliere le lumache col padre o dipingere il pollaio. Oliva, invece, ha un rapporto di grande amore e sintonia col padre e lo segue spesso nel suo girovagare per le campagne a raccogliere le lumache o lo aiuta a dipingere il pollaio, di cui lei stessa sceglie il colore.

A scuola stima molto la sua maestra che le insegna modi per conoscere il mondo: ad esempio il significato di nuove parole.

La maestra però se ne va senza una spiegazione e viene sostituita da un maestro noioso e insignificante, agli occhi di Oliva. Lei capisce che la maestra è stata accusata di qualcosa per il suo modo di vivere e di rapportarsi agli altri e spesso, durante gli anni successivi, la ricorda con nostalgia.

Nella sua vita c’è anche una cara amica che l’accompagnerà per molto tempo nelle sue scelte. È figlia di un padre comunista e insieme a lui partecipa a delle riunioni in cui si parla di lavoro, di scelte e di libertà delle donne.

Oliva ha anche un carissimo amico, un po’ zoppo, con cui condivide sogni e sguardi felici sulla natura. Quando però Oliva cresce, la madre le impedisce di vederlo come prima e tra loro tutto cambia.

Un giorno un ragazzo, di una classe sociale superiore alla sua, la ferma per strada e la importuna. Lei da un lato non vuole e scappa, ma dall’altro si sente felice di essere ammirata.

Durante la recita di un rosario a casa di una signora per cui la madre cuce, Oliva viene sbeffeggiata e scappa terrorizzata.

Trascorre un periodo difficile in cui abbandona anche la sua cara amica, che le aveva fatto delle foto di cui non capisce bene il significato.

A un certo punto viene rapita da qualcuno per conto del ragazzo che l’aveva importunata tempo prima e viene tenuta prigioniera in una casa e costretta a un rapporto con lui.

I sentimenti di Oliva sono molto complessi: da un lato il senso di colpa per ciò che è stata costretta a fare, dall’altro la paura, ma anche il senso di libertà mancata di cui la sua vita è sempre piena.

Si rifugia in casa dopo essere stata raccolta e trovata dal padre che non la giudica e la assolve senza troppe parole. Dopo diverso tempo accetta l’aiuto della sua amica e di una donna che si occupa proprio di salvare persone come Oliva. Alla fine accetta il processo con tutte le difficoltà del caso. Oltre al padre, anche la madre e il fratello la sostengono rendendole più facile tutto quanto sarà costretta a sopportare.

Questo libro è un inno alla libertà delle donne e alla grande possibilità di riscatto che esse hanno dimostrato di avere nel tempo.

Il mio racconto, comunque, non rende l’idea di tutti i passaggi e del percorso seguito da Oliva per riscattarsi. Per questo, e per rendere giustizia a Viola Ardone, non posso far altro che consigliarvi di leggerlo.

Vivere, nonostante tutto

di Cornelia Paselli, a cura di Alice Rocchi – Ed. Zikkaron

L’Istituto Storico Parri e il Comitato Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto hanno presentato, nel mese di dicembre scorso “Montesole1944 – Guerra alle donne. Vivere nonostante tutto”, il secondo episodio di una serie di cortometraggi documentari che raccontano le vicende legate alla storia dell’eccidio di Monte Sole.
Assieme al documentario è stato presentato anche il libro di Cornelia Paselli, sopravvissuta alla strage di Montesole, “Vivere, nonostante tutto”.

Cornelia aveva 18 anni nel 1944; la pronipote Alice Rocchi raccoglie in un libro intenso e commovente la sua testimonianza di giovane donna in tempo di guerra, l’arrivo di una violenza impensabile, i giorni dell’eccidio.

Un libro che racconta accanto ai fatti atroci commessi dai nazisti le risposte di disperazione, di coraggio, di solidarietà degli uomini e delle donne di quella comunità, fino alla scelta di “vivere, nonostante tutto”.

Dice Cornelia: “Il mio desiderio è che ciò che è successo serva da monito per tutti, ogni volta che il rancore e l’incomprensione rischieranno di prendere il sopravvento”.

Durante un’intervista le è stato domandato: “Come si può andare avanti dopo aver passato un’esperienza simile? Da dove si trae la forza di continuare?”
La sua risposta, sintetica, è stata: “La vita è sacra”.

Scrive la pronipote: “Ho riflettuto tanto su quell’affermazione fino a comprendere la portata dell’insegnamento che Cornelia col suo esempio, ancor più che con le parole, mi ha lasciato.
La vita è sacra: nell’autunno dei suoi diciotto anni hanno provato a strapparle quella convinzione, frutto dell’educazione ricevuta, ma anche parte naturale del suo temperamento. L’hanno gettata nel fango e nel sangue assieme a tutto il resto, ma lei non vi ha rinunciato, nemmeno davanti allo scempio che della vita può essere fatto. Lei la sua l’ha rivendicata vivendola tutta, fino in fondo.
La sua esistenza, proseguita intensa e piena d’amore dopo la guerra, è stata la sua sublime rivalsa.”

Malinverno

di Domenico Dara – Feltrinelli

 

In un paese immaginario, Timpamara, dove il vento, a causa di una cartiera e dell’adiacente macero, fa svolazzare le pagine dei libri trasportati dai camion e “ in ogni angolo, su davanzali, panchine, portabagagli delle auto, sui sacchi della spazzatura e perfino sui cappelli delle signore, poteva trovarsi la pagina di un romanzo” e dove i timpamarani portano i nomi di personaggi letterari, vive Astolfo Malinverno che così si descrive: “nato tre settimane dopo Alain Delon e il giorno prima di Woody Allen, dei quali io non fui certo una sintesi riuscita”.

Zoppo dalla nascita, solo dopo la morte dei genitori, diventa il bibliotecario del paese e successivamente, a causa del pensionamento anticipato del custode, anche guardiano del locale cimitero. Uomo abitudinario, piano piano di affezionerà al luogo e ai vari personaggi che lo frequentano. Una tomba anonima, che porta la fotografia di una bellissima donna che chiamerà Emma come Madame Bovary, lo porterà a ripensare alla sua vita e alla sua solitudine e ad immaginare un possibile cambiamento assieme a una sconosciuta visitatrice del cimitero.

Bella la prima parte con la descrizione di Timpamara e della cartiera; malinconico e struggente il finale con le riflessioni di Astolfo (nelle sue due funzioni) sulla morte e sul dolore: “perché se il destino dei libri è morire come esseri viventi (il macero) anche gli uomini, quando smettono di respirare, non diventano che storie”.

Ipazia e la notte

di Caterina Contini – Longanesi

 

Un libro davvero interessante, letto e commentato dal gruppo di lettura Auser.

Racconta in modo romanzato la vita di Ipazia, filosofa, astronoma, matematica, nata ad Alessandria d’Egitto nel 370 d. C e morta nel 415.

Una persona straordinaria che ha avuto “la colpa” di essere donna, scienziata e atea; atea quando la religione , sotto I’Impero Romano d’Oriente,  diventa religione di stato, rendendosi responsabile di  vere e proprie persecuzioni contro i pagani.

La scrittrice,  oltre a raccontarci in modo appassionato la figura di questa donna, ci introduce in modo storicamente attendibile nel clima politico e culturale di quel  periodo; racconta una di una Chiesa che   entra  sempre più prepotentemente nelle questioni di stato fomentando    vere e proprie carneficina di giudei.

Ipazia, guidata dalla ragione della filosofia, cerca di scoraggiare la violenza; decide di sfidare il vescovo Cirillo a un duello di idee in pubblico, come soluzione pacifica dello scontro, per trovare in qualche modo una mediazione tra cristiani e pagani:  «Se vogliamo pensare e agire secondo virtù, dobbiamo volere un mondo in cui a ognuno sia permesso di onorare i suoi dei, quali che siano, e di praticare pubblicamente il suo culto, senza che nessuno lo infastidisca o lo offenda nelle sue convinzioni e nei suoi riti.»

Ma tutto questo si rivelerà inutile, Ipazia dovrà prendere atto di come anche la filosofia sia impotente contro l’irrazionalità della folla. Sarà assassinata e verrà fatto scempio del suo corpo.

Un libro che fa riflettere , non solo sul tema dell’intolleranza religiosa, ma più in generale sui tanti comportamenti di intolleranza, fanatismo, integralismo presenti anche oggi nelle società.

 


Chi me l’ha fatta in testa?

di Werner Holzwarth  (Autore), Wolf Erlbruch (Illustratore) – Salani

Eta: 3–7 anni

Un giorno una piccola talpa ricevere in testa un maleodorante “regalino”. Miope com’è non riesce a vedere in tempo lo scortese autore ma, giustamente risentita, se ne mette alla ricerca.

Interroga quindi i vari animali che trova per la via. Alla domanda “Sei tu che me l’hai fatta in testa?”, ciascun personaggio, una volta osservato bene lo sterco sulla testa della talpa, si impegnerà a negare e spiegare come sono i suoi escrementi, in modo da discolparsi dal fatto.“Io la faccio così!” risponderà ogni non-colpevole e subito mostrerà le fattezze delle sue produzioni.

Riuscirà alla fine la piccola talpa a rintracciare il responsabile delle sue disavventure?

Inutile dire che si tratta di un libro delizioso, che affronta in modo scanzonato un argomento da cui i bimbi piccoli sono attratti per quel pizzico di proibito che aleggia intorno alla cacca ( non sta bene… non toccare…), anche se prima di apprendere che parlare di escrementi corporei è argomento considerato di cattiva educazione, i bimbi sono orgogliosi delle loro produzioni!

Un libro delizioso per stupire i bambini, perché non si aspettano che i grandi possano parlare della cacca in modo divertente!

AUSER INSIEME BOLOGNA APS - ETS

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